" benchè l'aspirazione alla felicità sia istintiva, si oppone un'altra tendenza istintiva: l'aspirazione all'infelicità e alla distruzione.
é qui che interviene la nozione di dovere, e cioè l'obbligo di scegliere la gioia e respingere la tristezza”
(Rabbi Na'ham di Bleslev)
mi ricordo dei momenti di euforia, di allegria delirante esagerata, la gente credeva che fossi ubriaca e io non cercavo di smentirli, ma non avevo bevuto, in realtà la mia esplosione nasceva da una tristezza enorme, senza fondo, ancora oggi non saprei con precisione a cosa attribuirla, allora aveva dei nomi ma questo non conta, non riuscivo a vivermela tutta quella tristezza, o forse era una sorta di frustrazione, una sensazione di non essere capace di stare sulla terra, di amare, di essere felice, l'avevo anche accettata quell'emozione, forse me ne ero anche innamorata, mi riempiva, mi ci identificavo, pensavo che sarebbe passata, o forse che ero fatta così e non ci potevo fare niente, non potevo fare altro che accettarla, però era troppo grande e avevo paura di implodere, avevo deciso che me la sarei vissuta a rate, perchè tutta insieme mi avrebbe tolto la voglia di vivere, allora a volte la lasciavo a casa e uscivo- ma la sentivo piangere là dentro, lo sapevo che poi sarebbe stato peggio e ci avrei messo il doppio a consolarla quella parte ignorata, ma dovevo buttare fuori, dovevo correre sotto la pioggia nella bora sul molo e ridere quando mi veniva da piangere e piangere quando mi veniva da ridere, mi depistavo così, avevo solo bisogno di alleggerirmi un po' e se ci riuscivo senza danneggiare nessuno ero già contenta, quell'allegria forsennata mi curava, se non altro mi stancava e poi mi sembrava di poter ricominciare a sbocconcellare la mia tristezza chiedendomi perchè la coltivassi con tanto amore e non fossi capace di lasciarla andare.
non è questa la gioia di cui parlano i chassidim. oggi, sentire parlare di dovere della felicità suona sinistro, perchè nella nostra società lo sentiamo questo dover essere felici, di successo, allegri, guai a non divertirsi il sabato sera, se non esci fino a tardi sei uno sfigato.
certo la vita di quegli ebrei contadini e ignoranti nelle steppe russe non era proprio così, lì davvero forse essere felici richiedeva un po' di impegno e non era una cortesia sociale.
io dalla gioia e dall'entusiamo attingo energia per avvicinarmi agli altri offrendo me stessa, mentre se mi incamminassi sulla strada dell'equilibrio delle emozioni forse dovrei dedicare più tempo a questo percorso, forse mi verrebbe più facile se fossi una monaca, ma se sono dentro a delle relazioni che fanno parte fortemente della mia esistenza (essere mamma, per dirne una) considero normale eccessi di emozioni molto umane. essere mamma fa avvicinare molto a uno stato naturale e non intellettuale dell'esistenza, quando il mio bambino ride, o se sta male, le emozioni che provo sono smisurate, ma è la natura che ha deciso così, sono programmata per reagire agli stimoli che mi arrivano dalla mia creatura.
a volte, quando mi sento travolgere dall'entusiasmo e dalla felicità e non riesco a smettere di pensare a ciò che mi emoziona ( i miei progetti, il lavoro, oltre all'amore per i miei "coinquilini"), mi spavento e mi impongo di distogliere la mente almeno per un po' perchè penso: se non riesco a non farmi travolgere dalle cose belle, come farò a non farmi travolgere dalle cose brutte?
e allora cerco di immagazzinare la forza che mi arriva dalle cose belle perchè bisogna sempre essere pronti per l'inverno che non è detto poi che debba arrivare così presto o che debba essere così duro, ma non si può non prevederlo.
"quando un uomo è contento, si allontano tutte le preoccupazioni. Ma sarebbe meglio inseguirle e acchiapparle per farle entrare nella gioia"
(Rabbi Na'ham di Bleslev)
Nessun commento:
Posta un commento