Se dalla chiesa di Sagliano vi
incamminate verso Sant’Alberto, incontrerete, ormai divorate dal
bosco, le rovine del castello che proprio in quell’occasione si
spaccò. E’ abbastanza pericoloso avventurarvisi oggi perché per
raggiungerlo bisogna costeggiare un vertiginoso abisso, ma se lo fate
potrete anche verificare che c’è proprio un enorme masso di rocce
che è stato staccato dalla parete ed è stato posto con cura
all’ingresso della gola. Operazione che avrebbe potuto compiere
solo qualche creatura di forza soprannaturale.
Se si guarda in su da
Sagliano, i resti del castello sono facilmente confondibili con le
formazioni rocciose della zona, tuttavia se siete scettici mettetevi
in marcia e arrivate fino all’Eremo di Sant’Alberto. Lì
troverete un affresco che raffigura il Castello di Oramala e quello
di Sagliano. Ma non solo: sulla parete accanto, un po’ scrostato ma
molto ben visibile, vedrete anche la descrizione di ciò che avvenne
nella gola del Crenna, ossia la lotta di San Giorgio contro il Drago!
Ora vi spiegherò come mai qui
è custodito di questo racconto.
Se ci si affaccia dalla strada
che conduce dall’Eremo a Sagliano, è ben visibile, tra due
montagne boscose, la collina di San Fermo con la piccola chiesetta.
Ma questo paesaggio non è sempre stato così. Lo spazio tra i due
versanti infatti altro non è che la gola del torrente Crenna, ossia
la spaccatura che si creò con il terremoto provocato dal drago. Dopo
quella terribile notte, Alberto uscì dalla sua grotta alle prime
luci dell’alba per vedere che cosa fosse successo e vide l’orribile
crepa che mostrava, come tra due sipari teatrali, la collina
illuminata dal sole. Quel giorno il santo si mise in cammino per
andare a trovare chi abitava la piccola casetta ai piedi della
collina, senza sapere che si trattava di Fermo.
A quei tempi Alberto, che era
molto più vecchio di Fermo, era già considerato santo e il marchese
Malaspina di Casasco gli aveva già fatto costruire la Chiesa intorno
a cui venne poi edificato il monastero di Sant’Alberto di Butrio
che conserva gli affreschi di cui vi parlavo. Dovete sapere, infatti,
che il figlio del marchese era un bambino particolare, passava le sue
giornate in disparte, silenzioso, non si smuoveva se lo si chiamava e
nemmeno se gli si urlava nelle orecchie, e non rispondeva mai alle
domande.
Anzi non parlava proprio, non aveva mai parlato. Il marchese
andava su tutte le furie, pensava che suo figlio fosse un maleducato,
un buonannulla e accusava di questo la moglie, la balia e tutte le
donne che si erano occupate del bambino nei suoi primi anni di vita -
a quei tempi i padri non si occupavano dei figli prima dei sette
anni, età in cui l’educazione dei maschi passava nelle mani del
padre che iniziava a portarli con sè al lavoro o, se era un nobile,
a istruirli nell’arte della caccia e della guerra. Il figlio del
marchese non capiva quando gli davano istruzioni e anche quando lo
sgridavano guardava da un’altra parte come se non stessero parlando
con lui. In realtà il bambino non era nè stupido nè svogliato: era
nato sordo e non avendo mai ascoltato parola umana non aveva mai
imparato a parlare, era muto.
Il
marchese all’inizio si arrabbiava, poi iniziò a disperarsi
chiedendosi perché Dio l’avesse punito con un figlio così
inutile. Per non pensare a suoi problemi passava le giornate
cacciando, che era il passatempo dei nobili di allora. Un giorno il
suo cane da caccia prediletto si mise sulle tracce di una splendida
lepre bianca e condusse così il suo padrone fino al greto del
torrente Butrio - che la gente allora chiamava buriòn
forse
perché era simile a un burrone - dove si fermò immobile con il naso
in alto puntando qualcosa. Il marchese capì subito, dalla postura
del suo cane, che non si trattava della lepre. Si inerpicò su per i
sassi umidi del torrente e giunse alla grotta dove trovò Alberto
sprofondato nella preghiera.
La bolla di quiete che regnava intorno
al sant’uomo era così intensa e piacevole che veniva voglia di
accoccolarvisi dentro. Il nobile rimase a rispettosa distanza e
quando Alberto finalmente si voltò verso di lui e lo guardo con i
suoi occhi profondi e saggi, si inginocchiò e gli disse: “Tu che
sei un uomo santo e sai parlare con Dio, prega per me e per i miei
peccati, ché per punizione mio figlio non parla e non ascolta.
Chiedi a Dio la grazia perché mio figlio possa diventare un buon
marchese, migliore di suo padre.”.
Il marchese non si era mai
occupato molto di Dio, ma quell’incontro gli toccò l’anima e se
ne tornò a casa rasserenato, chiedendosi se fosse stato forse troppo
duro con suo figlio e ripromettendosi di essere più paziente.
Giunto a casa vide il bambino
che giocava seduto nel prato come di consueto, ma questa volta, al
suono degli zoccoli del cavallo, il bimbo alzò la testa e si girò
meravigliato. Quando vide il padre sorrise e disse “Buongiorno
padre!”. Il marchese, piangendo di gioia, lo strinse al cuore e lo
riempì di baci, senza preoccuparsi del fatto che questo non fosse
considerato un comportamento virile.
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