Tanti migranti si trovano o scelgono di parlare con i figli solo la lingua del paese ospitante, in alcuni casi perchè pensano di aiutarli nell’apprendimento - senza pensare che se loro stessi non conoscono bene la lingua rischiano di trasmettere un vocabolario povero e una sintassi sgangherata - in altri casi perchè semplicemente i figli sono abituati a parlare nella lingua che tutti parlano intorno a loro e a scuola e si rifiutano di parlare la lingua dei genitori, dicono di non capirla, o di capirla ma di non saperla parlare. Non è facile avere un’identità multipla e arriva un momento in cui vorresti solo essere come gli altri e semplificarti la vita.
Ci sono casi paradossali, ma non così poco frequenti, in cui i figli, studiando e relazionandosi con amici, libri e film italiani, raggiungono una competenza linguistica molto superiore a quella dei genitori, i quali si trovano a dover sostenere conversazioni o discussioni con i figli in una lingua straniera, non potendo esprimersi nella loro lingua madre che non hanno voluto o saputo trasmettere. Lo strappo con le radici è ancora più doloroso quando questi giovani cresciuti in terra straniera non possono comunicare con i nonni o i parenti che vivono nel paese della famiglia d’origine.
Per fortuna ormai è risaputo che è controproducente consigliare ai genitori “stranieri” di parlare in italiano ai loro bambini, perchè è più importante che in famiglia si coltivi la lingua madre. Si sa infatti che essere bilingui è una ricchezza e che più lingue si conoscono più è facile apprenderne di nuove. E’ stato dimostrato che avere una buona padronanza della lingua madre getta le basi per una migliore conoscenza della seconda lingua, mentre chi parla male la lingua della famiglia spesso non si esprime bene nemmeno nella seconda lingua fenomeno che viene ben descritto dalla definizione “bilinguismo sottrattivo” o semilinguismo.
Mio padre non mi ha mai parlato in spagnolo, forse perchè è più la madre che tende a trasmettere la lingua madre (che non a caso viene chiamata così). Però so che quando ho iniziato - grazie a qualche viaggio in Cile, qualche amicizia sudamericana, un po’ di studio, e soprattutto i sei mesi trascorsi in Guatemala - a comprendere e parlare fluentemente in spagnolo, qualcosa dentro di me è rifiorito e anche la sensazione di essere linguisticamente orfana o zoppa si è ridimensionata.
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