martedì 2 maggio 2017

1. La guerra educativa e l'orrore per le armi

Come qualcuno ha reazioni inconsulte e incontrollabili quando vede un serpente o un insetto, io non riesco a trattenere un moto di orrore quando vedo un bambino puntare un'arma contro un altro, in particolare pistole e fucili.
Deve essere qualcosa di simile a quello che avviene agli anatroccoli che, pur non avendo mai visto un rapace, fuggono spaventati se vedono la sua sagoma.
E allora perchè, mi si chiederà, organizzo giochi guerreschi come quello della Resistenza dei Buschi?
La verità è che non era partito così.
Stavo cercando come al solito di fare un minestrone di feste d'aprile, per celebrare contemporaneamente la pasqua ebraica e la liberazione dalla schiavitù, il santo patrono di Varzi san Giorgio e la liberazione dal drago, e la Festa della Liberazione dal nazifascismo, poi, avendo ospiti, si è deciso di iniziare con una tranquilla commemorazione partigiana al Castello d'Oramala raggiungibile in bici attraverso i boschi da casa nostra. Del discorso del partigiano Gigino sul coraggio e la libertà i bambini non hanno recepito molto, è stata più che altro la festa delle biciclette, del risotto e del salame.
Aspettatemi!

Il giorno dopo abbiamo quindi pensato che avremmo potuto proporre una festa di emancipazione dei bambini, offrendo loro la possibilità di autogestirsi lo Spazio Comune della Casa dei Buschi tutte le volte che non ci sono ospiti. Diciamo che sarebbe stata principalmente una festa di liberazione per i genitori. Naturalmente non ci conveniva metterla giù pesante, facendo tutto un discorso sulle responsabilità che la libertà comporta per poi cercare di obbligarli a pulire e sistemare lo Spazio Comune. Si rendeva necessario condire bene la faccenda affinchè fosse accolta con entusiasmo e voglia di rimboccarsi le maniche. Da qui è nata l'idea di fare una caccia al tesoro per Sagliano alla ricerca di viveri, armi e cultura per poi farli giungere all'evidenza che bisognava trovare un rifugio da partigiani. E' stato solo per rendere il gioco più stimolante che la mamma Giulia è stata mandata a fare la sentinella fascista a guardia alla Chiesa di San Fermo. Sinceramente non ci aspettavamo che i bambini prendessero la cosa tanto seriamente, strisciando tra l'erba e tremando di paura.
Tra l'altro a Sagliano c'erano anche altre persone che passeggiavano innocentemente, ognuna di queste ha fatto gelare il sangue nelle vene ai bambini, non potendo sapere se si trattasse di fascisti o, peggio, di spie. "Ma come si fa a capire chi è cattivo? Non ci si può fidare di nessuno?". La tensione era altissima, tanto che una bambina di mia conoscenza- che pure aveva in parte origliato durante l'ideazione del gioco- sentì l'esigenza di chiedermi: "Ma è un gioco, vero? Non possono spararci sul serio?" e poi più avanti, durante un estenuante appostamento nell'attesa che la sentinella fosse sufficientemente lontana, aggiungere: "Ma noi che siamo femmine però nella realtà avremmo dovuto stare a casa. E anche i bambini." Osservazione che ha fatto esclamare al giovanissimo partigiano Macchia Nera: "Io forse in verità volevo stare a casa."
Ecco, io che non vieto ai miei figli in modo categorico e isterico i giochi con le armi (come il mio istinto mi suggerirebbe di fare, sotto la copertura di un ipocrita pacifismo) e che vorrei che tutti gli esseri umani provassero disgusto e orrore di fronte alla guerra in ogni sua forma, sento che forse questa è la strada giusta. Dire che la guerra è brutta non ha nessun valore per un bambino. Scoprire sulla propria pelle che un gioco divertente smetterebbe di esserlo se non fosse più un gioco forse è l'unico modo efficace per fare capire il concetto.
E grazie al gioco, ai bambini sono venute molte domande che ci hanno offerto l'occasione di raccontare pezzi di storia che altrimenti sarebbero sembrati solo lezioni noiose. Così abbiamo raccontato delle donne partigiane e dei bambini che facevano le staffette. Abbiamo raccontato di come a Sagliano, gli uomini che non volevano arruolarsi e disertori si travestissero da donna per andare a lavorare nei campi, in modo da non essere riconosciuti da chi dalla valle avesse guardato in su.

segue...




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