Quando io ero piccola gli stranieri non esistevano.
C'erano altri paesi nel mondo dove vivevano altre persone.
In Italia stavano gli italiani. La mia famiglia era italiana, di Milano.
Per strada non avevo notato persone diverse da me, anche i bambini molto abbronzati, figli addottivi compagni di classe, erano italiani come me. Negli anni 80 a Milano c'erano i vuccumprà (sinonimo di centroafricani, che poi sono stati appellati tutti "senegalesi"), i lavavetri (sinonimo di nordafricano, che poi sono diventati tutti "marocchini"), e i filippini (sinonimo di "donna o uomo delle pulizie scuro di pelle", che poi sono diventati peruviane e rumene), e poi i cinesi (sinonimo di ristorante: "andiamo al cinese?")
Quando è arrivato il momento di scegliere l'università non sapevo se volevo fare la giornalista, l'insegnante, l'educatrice, l'antropologa o la guaritrice ma avevo chiaro che volevo lavorare con gli "extracomunitari" (allora era gentile chiamarli così. Gli spiritosi mi chiedevano se volevo lavorare con gli svizzeri.)
Ho studiato il fenomeno migratorio, ho fatto una tesi sugli adolescenti della generazione 1,5 (non prima generazione ma nemmeno seconda), ho scelto solo lavori che mi facessero interagire con i cosiddetti stranieri. Mi sono appassionata di clinica transculturale studiando il trauma migratorio dei genitori che si riflette sui figli anche se essi non hanno vissuto la migrazione in prima persona, anzi, ancora più gravemente per il fatto che essi non sanno a cosa attribuire il proprio malessere.
E' stato molto lungo il processo per cui alla fine sono giunta a riconoscere che forse se mi sento straniera non è solo perchè provengo da un'altra dimensione spaziotemporale pre-cosmica, ma forse c'entrano le radici che da generazioni nella mia famiglia sono state mozzate, imposte, negate o sminuite.
Così quest'anno, nel tentativo di offrire una alternativa valida al boicottaggio che ho scelto di imporre rispetto alla celebrazione splatter-cariadenti-vincailpiùforte di halloween, ho cercato di trovare un modo per celebrare questo delicato passaggio del'anno nel quale secondo molte culture le pareti tra questo e l'altro mondo sono più sottili. Quest'anno oltre a nominare tutti i componenti della famiglia, vivi, morti, non riconosciuti, abortiti o inglobati dolorosamente nella famiglia, ho scelto di dedicare ad ognuno di loro una canzone.
A volte accendo la radio in macchina con il preciso scopo di connettermi al tipo di vibrazione culturale nella quale la maggior parte delle persone che vivono in Italia sono immerse oggi. Allo stesso modo ascoltando le canzoni che forse i miei antenati hanno ascoltato da piccoli, forse potrò trovare qualche pezzo delle mie radici, restituendole anche a loro, in certi casi.
La mia preghiera per loro quest'anno è
Per il nonno Da Madia, il mio bisnonno calabrese emigrato al Nord (nonno di mia mamma)
per la mia bisnonna mapuche Antonia Vargas (nonna di mio papà)
per la bisnonna austriaca Ella Manser (nonna di mia mamma)
per il nonno Franco Segrè (papà di mio papà) ebreo fascista scappato in Cile:
per il mio papà portato via dal Cile quando aveva 13 anni: una cueca tradizionale intitolata "mia bella patria lontana"
per il mio nonno Gino Madia(papà di mia mamma)...eh sì, la nonna mi ha detto che si cantava questa canzone andando in calabria per le vacanze in 7 in auto:
la nonna Adriana Bora (mamma di mia mamma) una canzone veneta scelta da lei
per la mia mamma femminista, scelta da lei: "devento mata" (non riesco a caricarlo)
e infine una bella canzone da dedicare a tutta mia famiglia: "un italiano vero" cantato da un istriano
vedi anche: Seconda prima o mezza generazione?
C'erano altri paesi nel mondo dove vivevano altre persone.
In Italia stavano gli italiani. La mia famiglia era italiana, di Milano.
Per strada non avevo notato persone diverse da me, anche i bambini molto abbronzati, figli addottivi compagni di classe, erano italiani come me. Negli anni 80 a Milano c'erano i vuccumprà (sinonimo di centroafricani, che poi sono stati appellati tutti "senegalesi"), i lavavetri (sinonimo di nordafricano, che poi sono diventati tutti "marocchini"), e i filippini (sinonimo di "donna o uomo delle pulizie scuro di pelle", che poi sono diventati peruviane e rumene), e poi i cinesi (sinonimo di ristorante: "andiamo al cinese?")
Quando è arrivato il momento di scegliere l'università non sapevo se volevo fare la giornalista, l'insegnante, l'educatrice, l'antropologa o la guaritrice ma avevo chiaro che volevo lavorare con gli "extracomunitari" (allora era gentile chiamarli così. Gli spiritosi mi chiedevano se volevo lavorare con gli svizzeri.)
Ho studiato il fenomeno migratorio, ho fatto una tesi sugli adolescenti della generazione 1,5 (non prima generazione ma nemmeno seconda), ho scelto solo lavori che mi facessero interagire con i cosiddetti stranieri. Mi sono appassionata di clinica transculturale studiando il trauma migratorio dei genitori che si riflette sui figli anche se essi non hanno vissuto la migrazione in prima persona, anzi, ancora più gravemente per il fatto che essi non sanno a cosa attribuire il proprio malessere.
E' stato molto lungo il processo per cui alla fine sono giunta a riconoscere che forse se mi sento straniera non è solo perchè provengo da un'altra dimensione spaziotemporale pre-cosmica, ma forse c'entrano le radici che da generazioni nella mia famiglia sono state mozzate, imposte, negate o sminuite.
Così quest'anno, nel tentativo di offrire una alternativa valida al boicottaggio che ho scelto di imporre rispetto alla celebrazione splatter-cariadenti-vincailpiùforte di halloween, ho cercato di trovare un modo per celebrare questo delicato passaggio del'anno nel quale secondo molte culture le pareti tra questo e l'altro mondo sono più sottili. Quest'anno oltre a nominare tutti i componenti della famiglia, vivi, morti, non riconosciuti, abortiti o inglobati dolorosamente nella famiglia, ho scelto di dedicare ad ognuno di loro una canzone.
A volte accendo la radio in macchina con il preciso scopo di connettermi al tipo di vibrazione culturale nella quale la maggior parte delle persone che vivono in Italia sono immerse oggi. Allo stesso modo ascoltando le canzoni che forse i miei antenati hanno ascoltato da piccoli, forse potrò trovare qualche pezzo delle mie radici, restituendole anche a loro, in certi casi.
La mia preghiera per loro quest'anno è
RICORDATEMI CHI SONO
E CHE COSA SONO VENUTA A FARE SULLA TERRA.
Per il nonno Da Madia, il mio bisnonno calabrese emigrato al Nord (nonno di mia mamma)
per la mia bisnonna mapuche Antonia Vargas (nonna di mio papà)
Per il ramo calabrese di gente bionda con gli occhi blu di orgine normanne (Juan Esteban Valdebenito, nonno di mio papà)
e
Per il ramo cileno di gente alta e bionda di orgini spagnole vichinghe (nonno di mia mamma)
per la bisnonna austriaca Ella Manser (nonna di mia mamma)
Per il bisnonno trevigiano, il supernonno Beppe Bora (nonno di mia mamma):
Per la mia nonna cilena Juana Maria (mamma di mio papà) che da giovane faceva di tutto per scurire i capelli biondi per i quali veniva presa in giro ("vecchia", le dicevano) e diceva di essere spagnola dimenticando le origini indigene di sua madre e stava attenta a non prendere il sole per non abbronzarsi perchè per lei chi aveva la pelle scura era un "negro feo" (brutto nero)
per il nonno Franco Segrè (papà di mio papà) ebreo fascista scappato in Cile:
per il mio papà portato via dal Cile quando aveva 13 anni: una cueca tradizionale intitolata "mia bella patria lontana"
per la bisnonna Pea di Mantova (nonna di mia mamma)
"nella città di mantova" che cantavo all'asilo.
la nonna Adriana Bora (mamma di mia mamma) una canzone veneta scelta da lei
per la mia mamma femminista, scelta da lei: "devento mata" (non riesco a caricarlo)
e infine una bella canzone da dedicare a tutta mia famiglia: "un italiano vero" cantato da un istriano
vedi anche: Seconda prima o mezza generazione?
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