sabato 21 ottobre 2017

2 - La generazione 1,5


Le storie dei bambini o adolescenti migranti mi hanno sempre colpita in modo particolare. Quando è un adulto a migrare si tratta nella maggior parte dei casi di persone che hanno fatto una scelta, più o meno consapevole, che hanno accettato partendo di lasciare il mondo noto per un mondo nuovo. Diversa è la situazione di chi si trova ad affrontare la migrazione senza avere un progetto personale, ma in seguito alle scelte della famiglia.
Si parla di seconda generazione riferendosi ai figli dei migranti nati nei paesi di immigrazione. Ma se la prima generazione è quella di chi per primo sceglie di emigrare, chi è figlio di migranti ma è nato e cresciuto nel suo paese di origine e raggiunge i genitori in adolescenza, a che generazione appartiene? Qualcuno ha definito questi giovani “generazione 1,5”, poichè non appartengono nè alla prima nè alla seconda categoria.


Generalmente si tratta di bambini i cui genitori sono partiti lasciandoli, ancora piccoli, alle cure dei nonni o di altri parenti. Quando i genitori si sono integrati e hanno una certa stabilità economica e lavorativa possono chiedere il ricongiugimento familiare e farsi raggiungere dai figli.
Finchè si tratta di bambini piccoli, poter tornare a vivere con i genitori è sempre una grande gioia e, se i genitori dal canto loro sono sereni, i figli solitamente riescono con relativa facilità ad adattarsi al nuovo paese.
Per gli adolescenti (e i preadolescenti), invece, il cambiamento può essere più traumatico. In parte perchè si tratta di un’età di passaggio che non è facile nemmeno quando “si gioca in casa”, in parte è una fase in cui diventa progressivamente più importante il gruppo dei pari e la costruzione di un’identità al di fuori della famiglia e questo processo che è stato iniziato nel paese di origine viene troncato di netto e va ricominciato tutto daccapo in un paese di cui non si capisce nemmeno la lingua. Per non parlare del fatto che se intorno ai sedici anni ci si iniziava a sentire quasi adulti, arrivati in Italia si viene catapultati in un mondo in cui a sedici anni sei solo all’inizio di una lunga adolescenza che durerà ancora per decenni. Questa diversa percezione delle età spesso sconvolge e trasforma anche i genitori, specialmente le madri che ormai sulla soglia dei trent’anni si sentivano vecchie e fuori mercato e scoprono invece di essere considerate giovanissime in Italia. Così i figli adolescenti si ricongiungono con genitori che nel frattempo sono cambiati e che non vedono l’ora di riabbracciare e coccolare i loro ex-bambini, i quali però nel frattempo sono cresciuti e vorrebbero invece avere l’autonomia che erano abituati ad avere e che in alcuni casi sono, più o meno consciamente, arrabbiati con i genitori per averli abbandonati quando avrebbero avuto bisogno di loro.
Quando lavoravo a Milano, mi capitava di conoscere alla scuola estiva che organizzava la Fondazione Aliante, ragazzi e ragazze che venivano mandati ad imparare l’italiano dai genitori, residenti in Italia da anni. Erano una moltitudine colorata, per lo più piena di entusiasmo, che trovavano bella l’Italia e imparavano volentieri. Qualcuno di loro credeva di essere semplicemente in vacanza dalla mamma e solo a settembre scopriva di essere stato iscritto alla scuola italiana. Ne incontravo alcuni tra i banchi qualche mese dopo in pieno autunno e già un velo grigio stava calando sui loro sorrisi. Non era solo il freddo inaspettato o la fatica di studiare in una scuola superiore senza conoscere la lingua, quello che li spegneva era una cosa a cui alcuni non sapevano dare un nome nemmeno nella lingua madre.

segue ...
3 - Nostalgia: la parola che ci mancava
4 - Autorizzare la nostalgia ingiustificata
5 - Nostalgia ereditaria
6- Lingua madre e lingua matrigna
7 - I linguisticamente zoppi e i bilingui
8- Test della nostalgia

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